domenica 3 maggio 2009

Buona sostanza

in luogo zero -ovverosia a guisa di premessa- oserei dire che, a seguito del commento n° 6 al mio post precedente, ho maturato l'idea che un post non debba necessariamente essere -come fin troppo sovente accade- un'occasione di confronto. a dire il vero quest'idea era ben salda in me un'infinità di tempo prima che la "maturassi", ma si vede che per un po' me n'ero dimenticato: m'ero scordato del fatto che lo scrivere, in sostanza, è un qualcosa che non si discosta mai troppo dall'edonismo dei caratteri stampati o luminosi per i quali passa e da quello dei suoni interiori o esteriori che lo stesso scrivere suo malgrado produce.
in altre parole non c'è mezzo e non c'è fine; e questa è la sola premessa utile ad uno svolgimento che sia sano davvero, sul foglio bianco come sul foglio elettronico, come nella vita.
ecco, io in primo luogo volevo chiedere scusa se mi ostino ad omettere le maiuscole, tipo enrico brizzi nel suo romanzo più noto. ma non è il residuo di un vezzo tardo-adolescenziale, il mio. è che le mie mani hanno una coscienza, coscienza che s'è formata negli anni elettrici ed ellittici dell'università, anni in cui ho fatto un uso consistente di microsoft word, per compilare un paio di tesi di laurea e una decina -forse- di relazioni/saggi/tesine: tutta una serie di questioni, insomma, che si risolvevano genericamente alle 5 del mattino del giorno della consegna, con una sigaretta tra i denti, nell'aria salata, in finestra.
e si sa -questo è il punto- che word le maiuscole te le mette in automatico.  quindi, insomma, mi sono abituato a scrivere senza badare allo shift e -anche questo si sa- quando ci si abitua a una comodità è difficile tornare indietro.*

* se è per questo, word ti fa tutta una sfilza di correzioni automatiche non richieste.
ora, i più occhialuti tra voi obietteranno che un computer fa esattamente quello che gli ordini di fare, né più né meno. i più simpatici sapranno ammettere che invece il computer ha una propria autonomia, e un carattere ben definito. al che gli occhialuti, per recuperare in extremis un barlume di simpatia, ribatteranno: sì, d'accordo, il computer ha un carattere ben definito, ma è lo stesso per tutti i computer: un carattere da stronzo.
tante parole per dire, insomma, che il vezzo della minuscola non è mi è vezzo, ma vizio.
c'è anche il fatto che, per l'allergia che mi dà la carta -non in termini fisiologici, ma figuràti- non scrivo mai a mezzo di penna o matita. e il foglio elettronico spesso mi si impone col suo blank, colmandomi, vuotandomi, empiendomi di niente.
e qui, poco avanti, in una frase, ho detto tutto, tutto quello che volevo dire: che cioè ogni cosa è senza dubbio il contrario di sé: così come blank e black hanno la stessa radice, e quindi l'assenza di colore o la somma di tutti i colori in qualche modo si equivalgono.

e questo, tutto questo, era grossomodo ieri.
oggi è diverso, è già un secondo luogo. il lunedì mattina dormo, dormo fino a non poterne più, a non volerne. poi bevo mezzo litro d'acqua, mangio un paio di gallette di riso. mi faccio un tè.
mi dico che si può stare così, lontani dal tabacco e da altre sostanze.
mi dico che, se per caso in una vita tutto fallisse, ci si dovrebbe per tempo ricordare almeno del corpo, e dargli un'esistenza sana; sicché -come si crede- la mente si conservi sana assieme al corpo.
queste considerazioni spontanee me ne ispirano un'altra, meno spontanea:
prima di tutto, quelli che chiamiamo "piaceri del corpo" sono cose troppo facilmente confondibili con l'eccesso, il vizio. eviterò di addurre argomentazioni di foggia chiesastica. quello che voglio dire è che il corpo, che è un prodotto della natura, prova piacere quando smettiamo di tormentarlo. lungi da me un percorso a ritroso che giunga alla negazione della società contemporanea quale fonte di ogni squilibrio cosmico: l'uomo e il tormento nascono insieme; la tassa sul macinato, l'industrializzazione, l'informatica e la televisione non c'entrano niente.
voglio solo dire: non dovremmo lasciare giusto un po' in pace -almeno ogni tanto- l'involucro che ci contiene, che contiene il nostro io, il nostro ?
questo non è difficile: è impossibile, perché la vita di una persona qualsiasi è perlopiù una strada -spesso asfaltata- irta di condizioni, coalizioni, colazioni, immolazioni, ammortamenti, documenti, indumenti, mal di denti, mal di testa, mal di stomaco, stitichezza, stanchezza, stanze, distanze, ritardi, torte, feste, cene, pizze da asporto, mezzi di trasporto, mezze minerali, sali minerali, fuochi artificiali, finzioni, protesi, ipotesi, tesi, tensioni, distensioni, indigestioni, alka-seltzer, casette, calzette, cazzi e mazzi, zoccole, zuccheri, cucchiaini, cappuccini, zaini, libri, lezioni, lettori mp3, cuffie stereo, coffee break, pause, impegni, agendine, accendini, sigarette, frette, orologi, orgogli, gorgoglii, golgota, calvari, cavalli, scommesse, sconfitte, confetti, cofanetti, sarcofagi, sacripanti, saltimbanchi, banchi, banche, bocche, becchi, buche, barche, borchie rubate, bici rubate, baci rubati, rossi rubino, verdi smeraldo, gialli oro, galli d'oro, osterie, abbuffate, buffonate.
ancora una volta è andata così, siam partiti da un certo luogo e non si sa bene dove siamo andati a finire.
mi faccio un caffè.

3 commenti:

Radio Pazza ha detto...

Non c'è gnente da fare ... hai stile!

Bak

Domhir Muñuti ha detto...

ma come scrittore o come cineasta?
:D

Prisma ha detto...

non dovremmo lasciare giusto un po' in pace -almeno ogni tanto- l'involucro che ci contiene, che contiene il nostro io, il nostro sé?Non sai quanto vorrei riuscirci... È una vita che ci provo.