giovedì 21 maggio 2009

Bay Journey


non ho davvero alcun bisogno di sentirmi ridicolo.
certe volte pare sia quasi inevitabile. ma non è mai utile, fidati.
ci si rende ridicoli quando si è costretti a dimostrare qualcosa. ma ci sono due precisazioni da fare: in primo luogo, ci si costringe quasi sempre da soli a dover dimostrare qualcosa; secondo, molto spesso la costrizione e il gesto che la incarna si instaurano nel giro di pochissimi istanti d'orologio, nell'arco di un tempo impossibile da gestire, nel mezzo di un gorgo di segnali per niente facili da decifrare. ed ecco che "qualcosa" fa sì che gli occhi siano su di noi, tutti, fissi, e ciascuno sguardo s'accompagna ad un paio d'orecchie, ad una bocca tesa in un sorriso innaturale, ad un'espressione via via più imbarazzata di fronte alla nostra figura loffia.
ma è peggio, molto peggio, quando noi solo siamo testimoni del nostro ridicolo, noi e nessun altro.
quando il desiderio di rivalsa ci abbaglia e ci coglie un tremore alle mani, quando vogliamo conquistare e invece aggrediamo o ammicchiamo con troppa veemenza, quando ostentiamo indifferenza ma ci bolle il sangue, quando improvvisamente una forza misteriosa e fugace ci mette in bocca una barzelletta o un aneddoto da raccontare, dileguandosi subito dopo (la forza) tra gli alberi, tra gli alberi lontano.
per chi conserva una dose d'autostima, sentirsi ridicolo è un segnale che c'è qualcosa da fare, qualcosa di molto semplice da fare: tornare ad essere presenti. chi è ridicolo è assente, di lui si ride alle spalle, in volto gli si mostra solo un velo di pietà solidale, di comprensione pallida.

sono stato ridicolo tutte le volte in cui non ho saputo imporre le mie esigenze, è molto semplice. sono stato ridicolo a me stesso quando ho permesso che l'arroganza e l'ingiustizia mi calcassero il tacco nella gola, quando non ho avuto la prontezza di dire: vaffanculo.
senza esclamativo.
sono stato ridicolo quando ho pensato di fare tutto da solo.
lo sono stato quando non ho voluto farcela da solo.
sono stato ridicolo quando c'era di che andare via e sono rimasto, quando era meglio restare e sono andato via, quando avrei dovuto trattenermi lontano e invece sono tornato.
sono stato ridicolo quando ho tentato di trasformare la nausea in piacere, quando ho spiato, quando ho sperato.

ed eccomi presente, a disperare, a capire che la nausea è la nausea e il piacere non ha niente a che fare con la nausea, eccomi coerente, eccomi capace di chiedere aiuto, eccomi dire vaffanculo.
eccomi ripudiare, eccomi vomitare, se è necessario. eccomi credere e affermare potentissimamente che la felicità è un dovere, e che mi viene da piangere quando vedo un uomo solo che mangia una pizzetta scaldata in un bar, la sera; e mi viene da piangere non perché immagino la sua infelicità, ma al contrario, perché a ben guardare non c'è niente di infelice nel fatto di non avere niente da raccontare e nessuno con cui condividere l'assalto improvviso della fame, della sete, del sonno, di ogni bisogno primario.
è infelice non avere la forza di esprimersi.

eccomi parlare come un adolescente maledetto, mucciniano, eccomi spremere ogni brufolo con gran dispiego di poltiglie chiare, tra il bianco e il giallo.
eccomi dire che sono esausto di inesprimermi.

i sogni sanno dettarci in un istante circostanze e situazioni complesse, e convincerci che quelle circostanze e quelle situazioni siano perfettamente plausibili, accettabili e financo reali, persino quando ci accorgiamo perfettamente di essere immersi in un semplice sogno.
mi chiedo come mai da svegli ci voglia così tanto a capire cosa stia accadendo.

1 commento:

Radio Pazza ha detto...

The big boat brought Boada abroad.
Did George enjoy the journey?

Bak

ps. The taste of cream is creamy, let's scream it: "It's creamy!"