martedì 4 agosto 2009

La colpa

è che mi hanno attraversato generazioni intere di amici. che dico amici: conoscenti.
sono stato un fumatore giallo, un bevitore rosso, un mangiatore nero. un nuotatore celeste, un corridore verde acqua. è che mi hanno quasi tirato dietro insulti come: ladro! ladro di notte! ladro di piccole ore vacue! figlio di una siepe! 
ladro! di luci, di odori! scarpa vecchia!
è che mi hanno offerto un bastoncino di zucchero, ed erano sconosciuti. e quant'è vero che non bisogna accettare doni dagli sconosciuti -menchemeno caramelle-, tant'è vero che la generosità degli sconosciuti merita riconoscenza.
un ladro, però, accetta doni di malgrado.
e il punto è questo: è che da anni giro attorno ad una nota, o due, o tre, massimo sette, o dodici. o più.
sono stato un musicista, lo sono stato senza colore; talento è il nome di una moneta. e il denaro è qualcosa che a farne ci vuole tanto, e a disfarsene ci vuole poco e niente. come ogni cosa, più o meno. come ogni cosa e il suo contrario.
come pulire e sporcare. come seminare e dissipare, come cucinare e mangiare. come l'amore e la guerra.
prenderei indietro la fede negli altari mesti delle case di una volta, e nei ceri, se potessi avere dodici anni e ricominciare tutto da capo. che dico dodici: quindici, diciannove, ventitré. che dico: ventinove anni di meno: zero.
se potessi riacciuffare lì da dove ho smesso di credere e gioire per certe minuscole cose.
mi viene da dire che l'uomo nasca fiore e crepi legno.
ma io voglio tornare a leccare le pagine caramellate di un catalogo di sogni, come facevo su balconi poveri estivi, tagliato in due da una ghigliottina saracena, mezzo nel sole e nel cicaleccio, l'altra metà nel fresco della stanza, alla sesta ora. quello sì che era amore.
amore, quando tutto era possibile, e tutto era vero. e la mia chitarra scassava il cazzo a tutto il paese. e una volta mi si disse persino che certi miei suoni sguaiati avevano schiattato una mucca. vidi con questi occhi il contadino che dava al fuoco quella salma, quel martire, quella prima vittima incolpevole dei miei capricci.
e se allora certi parenti larghi di bocca e spietati, dal balcone accanto, tra le lacrime m'avessero sibilato all'orecchio, nel silenzio, mi avessero sibilato, dicevo, che andava a finire così, e insomma m'avessero detto:

"bimbetto! la musica è bella, ma pensa alla vita che avanza!"

là, io mi sarei sganasciato, lo giuro, 
e avrei fatto tutto un impasto di voce ed orgoglio:

"sarò quel che voglio. la colpa è la tua, che non ci hai creduto abbastanza."

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