il tema della serata è "vanità e frustrazione".
da quattro giorni sono in formazione presso un'azienda che si occupa di escamotage, escatologie, scatologie, scatole, scotomata, auto, moto, scotti, pomate, scatti, patate scotte, biscotti. la verità è che non mi è chiaro di cosa si occupi l'azienda, lo ammetto. forse per questo brancolo ancora nel bruolo. ma è il termine stesso, azienda, che mi dà fastidio. in qualsiasi lingua. quando c'è di mezzo un'azienda, davanti a tutto c'è un colore, un font, un logo, un materiale e persino un odore. se ci sono dei volti sono sempre o quasi sempre facce di merda.
mi guardo allo specchio e vedo la tendina della doccia, le piastrelle del cesso, e, se ravvicino il fuoco, le impronte fossili di gocce d'acqua, o tracce secche di dentifricio misto a saliva. poco dietro ci sono io, perché far finta di niente?, con i capelli già un poco lunghi sul giro dell'orecchio. è un fastidio millimetrico, se si trattasse di centimetri sarebbe accettabile. la mia non è però una faccia di merda. sa esserlo, se occorre, ma non è a questo che aspira.
c'è una frase che mi piace dire: "ciascuno ha l'intelligenza che si merita".
è un paradosso dei miei, forse, ma ha una sua logica, o almeno: potrei argomentarlo mediante un ampio ventaglio di dimostrazioni empiriche, ma dovrei citare persone e situazioni, e non è il momento. di cosa è il momento?
c'è un tempo per piangere i limiti del proprio processore, e un tempo per inzaccherarsi di giuggiole il bavero. un tempo per andare a pesca e un tempo per la pasta al forno a colazione. c'è un tempo per le lucciole e un tempo per le sigarette. un tempo per le sigarette e un tempo per il tabacco da girare. c'è un tempo per fare cazzate di proposito e un tempo per fare cazzate per sbaglio, un tempo per avere culo e un tempo per fare le cose in un certo modo.
domani pomeriggio archivierò una settimana dura e antipatica.
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