non ho più niente da aggiungere.
anche laide époque è un blog finito.
ho voglia di inaugurare un'epoca nuova, decisamente meno laida ma, volendo, altrettanto piovosa.
ora sono qui.
laide époque™
il blog più piovoso del mondo
giovedì 14 ottobre 2010
domenica 3 ottobre 2010
Il fait bobo
non ho capito bene che giornata è oggi. bisognerebbe affacciarsi meglio. uscirò a breve.
sabato 25 settembre 2010
Ma déception amoureuse c'est moi
il contenuto del post precedente risale allo scorso anno.
mi riconosco in parte in quello che ho scritto. mi ci riconosco strutturalmente, ma poi le circostanze variano.
ora sono decisamente paratattico.
qualcuno mi ha consigliato di scrivere a me stesso quel che vorrei scrivere a te. ma scriversi addosso non dà la stessa soddisfazione. e guarda che stavolta non si tratta di insulti, anzi.
però è giusto. se pensi che alla fine la memoria è fatta apposta. apposta per dimenticare, intendo. e non è un paradosso, è qualcosa che ha un significato ben preciso, ma che ora non mi va di spiegare. ora e mai più. basta un po' di intelligenza per capire. e il mio lettore medio ne ha, d'intelligenza. altrimenti ci si stanca, a seguire un cane come me.
mi riconosco in parte in quello che ho scritto. mi ci riconosco strutturalmente, ma poi le circostanze variano.
ora sono decisamente paratattico.
qualcuno mi ha consigliato di scrivere a me stesso quel che vorrei scrivere a te. ma scriversi addosso non dà la stessa soddisfazione. e guarda che stavolta non si tratta di insulti, anzi.
però è giusto. se pensi che alla fine la memoria è fatta apposta. apposta per dimenticare, intendo. e non è un paradosso, è qualcosa che ha un significato ben preciso, ma che ora non mi va di spiegare. ora e mai più. basta un po' di intelligenza per capire. e il mio lettore medio ne ha, d'intelligenza. altrimenti ci si stanca, a seguire un cane come me.
giovedì 23 settembre 2010
Seconda Edizione
ora, negli ultimi tempi ho recitato spesso una frase, un po' mucciniana ma non per questo priva di fascino, che fa più o meno così:"uno pensa alla vita come a qualcosa di là da venire, e invece la vita è adesso." il punto è che da giovani avvertiamo la vita come qualcosa di là da venire, perché per certi aspetti è così, perché la nostra pelle e i nostri pensieri inseguono davvero una forma ed una sostanza che non siamo ancora. e quando uno prende a pensare alla vita come a un qualcosa che esiste già, che è qui, bello o brutto che sia, allora vuol dire che non è più giovane, vuol dire che ha perlomeno iniziato a calcare il sentiero dell'età adulta.
cambiamo discorso. mi pesa ancora la fatica degli esami di una vita, di quelli che ho fatto ma soprattutto di quelli che non ho fatto, tanto per buttare là una banalità, una frase ad effetto.
però è vero, ci penso e mi dico: ma perché minchia, uno, poi, dovrebbe mai sottoporsi al giudizio degli altri? perché mai le questioni importanti della nostra esistenza devono essere scandite dall'esame e non magari da una notte di sonno, da una cotoletta impanata, da un tiro di sigaretta? o da un prelievo al bancomat? o da un caffé nel bicchiere di carta, bevuto camminando?
nell'arco sempre teso di una giornata tra le mura -e oltre- di questa città, non sai quante e quante volte mi viene in mente qualcosa da scrivere, qualcosa che mi dico: stasera piglio e lo scrivo, lo trascrivo. ma poi i pensieri si sommano, e scoprendosi incapaci di sommarsi come cristo comanda allora si moltiplicano -come cristo comandò a pani e pesci- diventando ben presto potenze gli uni degli altri (ché vuoi mettere il gusto di mangiare il pesce col pane e il pane col pesce, anziché o l'uno o l'altro), e allora ecco che un'idea in quattro e quattro otto (o, per meglio dire, in quattro alla quarta duecentocinquantasei) si trasforma in qualche splendido nulla, cioè a dire in un qualche numero talmente complicato che nessuno riesce a contarlo.
niente di nuovo, per chi conosce queste pagine immaginarie.
avanti dunque con la mia dose di niente, di nuovo. anziché dose stavo per dire diaria ma di fatto alla mia scelleratezza non è concesso neppure il beneficio della costanza, della quotidianità. e si sa che essere virtuosi nel vizio è diabolico, così come eccedere nella virtù. mentre a me -che sono cresciuto a pane, antipasto, primo, secondo, contorno, dolce, frutta, caffè, ammazzacaffè, acqua, vino, bevande, coperto e mancia- spetta un'angelica mediocrità.
tutto questo non è vero, perché invece mi si affaccia dentro un essere serio, disciplinato, prodigo di buoni propositi e di soluzioni concrete, rapide ed efficaci. un essere capace anche di aspettare e pazientare quand'è il caso. un essere capace di accontentarsi di pane e pane o di pesce e pesce.
e non mi è facile ammettere di essere io, quell'essere. di essere così, divenuto finalmente uno che sa quello che deve fare e soprattutto quello che vuol fare. divenuto uno che diviene.
uno che tutto sommato si alza, che tutto sommato lavora, studia, risolve, dialoga, indaga, scopre, reagisce, rimedia, o incassa. uno pane al pane e vino al vino, tanto per tornare agli ingredienti del sacro ricettario.
grida anecoiche medicano un mio bruciore di gola.
e scrivo male, mi sembro io a quindici anni. non che col tempo sia migliorato poi tanto, anzi. ma almeno ho capito, col tempo, che raramente l'urgenza sa mettere in scena un capolavoro.
e vabbè, scrivere anche di merda, se serve, pur di saziare l'interrogativo: davvero? davvero eravamo lì? davvero ero io? noi? tu? non ho creduto nemmeno per un istante di esserci.
una volta conoscevo parole migliori, e le mele avevano una buccia di colore diverso. mi scoppiavano le tasche, andavo al caffè e quando ne uscivo certe idee dovevo metterle in borsa, perché in testa non mi ci stavano. potevo tutto e non volevo niente.
stasera, invece, in camera mia c'è una luce un po' cruda, debole. non ho genio di ragazza profumata, sono incapace di scegliermi le tende e le candele, e tutto quel che mi circonda va sul grigio. con questo non voglio dire alcunché di triste. è che non ho miti da spalmare alle pareti e non ho musiche degne d'ascolto. non ho nessuno a cui pensare. stasera in camera mia non c'è che una persona, e sono io, e leggo, scrivo, per lo più sto a ciondolare, e il tempo mio fatica a starmi dietro.
una volta conoscevo parole migliori, e le mie mani andavano dritte al dunque, quando si trattava di scrivere. se mi rileggo ora non mi piaccio ma questo non vuol dire affatto che io sia migliorato.
è vero, è sempre vero che quando si fa una cosa nuova è così complicato farla che per forza ti viene brutta.
questa frase -che deve aver scritto picasso, da qualche parte- stava in epigrafe alla mia tesina di maturità. a chi mi esaminava, di quel libriccino non piacque nulla, e non c'è di che meravigliarsi, tutto sommato. era un lavoro abbastanza onesto, ma io non ero stato -negli anni della scuola- onesto abbastanza da poterlo sostenere. quell'epigrafe suonava come un'apologia, una excusatio non petita.
cambiamo discorso. mi pesa ancora la fatica degli esami di una vita, di quelli che ho fatto ma soprattutto di quelli che non ho fatto, tanto per buttare là una banalità, una frase ad effetto.
però è vero, ci penso e mi dico: ma perché minchia, uno, poi, dovrebbe mai sottoporsi al giudizio degli altri? perché mai le questioni importanti della nostra esistenza devono essere scandite dall'esame e non magari da una notte di sonno, da una cotoletta impanata, da un tiro di sigaretta? o da un prelievo al bancomat? o da un caffé nel bicchiere di carta, bevuto camminando?
nell'arco sempre teso di una giornata tra le mura -e oltre- di questa città, non sai quante e quante volte mi viene in mente qualcosa da scrivere, qualcosa che mi dico: stasera piglio e lo scrivo, lo trascrivo. ma poi i pensieri si sommano, e scoprendosi incapaci di sommarsi come cristo comanda allora si moltiplicano -come cristo comandò a pani e pesci- diventando ben presto potenze gli uni degli altri (ché vuoi mettere il gusto di mangiare il pesce col pane e il pane col pesce, anziché o l'uno o l'altro), e allora ecco che un'idea in quattro e quattro otto (o, per meglio dire, in quattro alla quarta duecentocinquantasei) si trasforma in qualche splendido nulla, cioè a dire in un qualche numero talmente complicato che nessuno riesce a contarlo.
niente di nuovo, per chi conosce queste pagine immaginarie.
avanti dunque con la mia dose di niente, di nuovo. anziché dose stavo per dire diaria ma di fatto alla mia scelleratezza non è concesso neppure il beneficio della costanza, della quotidianità. e si sa che essere virtuosi nel vizio è diabolico, così come eccedere nella virtù. mentre a me -che sono cresciuto a pane, antipasto, primo, secondo, contorno, dolce, frutta, caffè, ammazzacaffè, acqua, vino, bevande, coperto e mancia- spetta un'angelica mediocrità.
tutto questo non è vero, perché invece mi si affaccia dentro un essere serio, disciplinato, prodigo di buoni propositi e di soluzioni concrete, rapide ed efficaci. un essere capace anche di aspettare e pazientare quand'è il caso. un essere capace di accontentarsi di pane e pane o di pesce e pesce.
e non mi è facile ammettere di essere io, quell'essere. di essere così, divenuto finalmente uno che sa quello che deve fare e soprattutto quello che vuol fare. divenuto uno che diviene.
uno che tutto sommato si alza, che tutto sommato lavora, studia, risolve, dialoga, indaga, scopre, reagisce, rimedia, o incassa. uno pane al pane e vino al vino, tanto per tornare agli ingredienti del sacro ricettario.
grida anecoiche medicano un mio bruciore di gola.
e scrivo male, mi sembro io a quindici anni. non che col tempo sia migliorato poi tanto, anzi. ma almeno ho capito, col tempo, che raramente l'urgenza sa mettere in scena un capolavoro.
e vabbè, scrivere anche di merda, se serve, pur di saziare l'interrogativo: davvero? davvero eravamo lì? davvero ero io? noi? tu? non ho creduto nemmeno per un istante di esserci.
una volta conoscevo parole migliori, e le mele avevano una buccia di colore diverso. mi scoppiavano le tasche, andavo al caffè e quando ne uscivo certe idee dovevo metterle in borsa, perché in testa non mi ci stavano. potevo tutto e non volevo niente.
stasera, invece, in camera mia c'è una luce un po' cruda, debole. non ho genio di ragazza profumata, sono incapace di scegliermi le tende e le candele, e tutto quel che mi circonda va sul grigio. con questo non voglio dire alcunché di triste. è che non ho miti da spalmare alle pareti e non ho musiche degne d'ascolto. non ho nessuno a cui pensare. stasera in camera mia non c'è che una persona, e sono io, e leggo, scrivo, per lo più sto a ciondolare, e il tempo mio fatica a starmi dietro.
una volta conoscevo parole migliori, e le mie mani andavano dritte al dunque, quando si trattava di scrivere. se mi rileggo ora non mi piaccio ma questo non vuol dire affatto che io sia migliorato.
è vero, è sempre vero che quando si fa una cosa nuova è così complicato farla che per forza ti viene brutta.
questa frase -che deve aver scritto picasso, da qualche parte- stava in epigrafe alla mia tesina di maturità. a chi mi esaminava, di quel libriccino non piacque nulla, e non c'è di che meravigliarsi, tutto sommato. era un lavoro abbastanza onesto, ma io non ero stato -negli anni della scuola- onesto abbastanza da poterlo sostenere. quell'epigrafe suonava come un'apologia, una excusatio non petita.
venerdì 17 settembre 2010
Minima Immoralia
quando un'epoca finisce mica te ne accorgi subito.
stasera spaghetti olio e peperoncino. non ho aglio né qualcosa che gli somigli.
un'epoca finisce sempre un po' prima e un po' dopo di quel che sembra. sì, un po' prima e un po' dopo al tempo stesso. è la simultaneità del divenire, diciamo così. sulla simultaneità del divenire ho fatto la mia tesi di laurea, più o meno.
ma son finiti i tempi in cui fare una tesi di laurea era qualcosa di cui vantarsi.
tempo fa parlavo con una collega di lavoro -del lavoro che presto lascerò e che la mia collega ha già lasciato- e mi faceva notare questo, mi faceva notare che io dico sempre che mi sono laureato in ritardo.
- in ritardo rispetto a cosa?, chiede lei
- in ritardo rispetto alla maggior parte delle persone, rispondo io
- e sei sicuro che quelle persone abbiano capito qualcosa di quello che è successo loro nel frattempo?
- non lo so, rispondo io, anzi, credo di no, rispondo, ma è una magra consolazione, di fronte al fatto che quelle persone inizieranno a fare il lavoro della loro vita con molti anni d'anticipo rispetto a me.
- e perché mai questa cosa dovrebbe essere un vantaggio?
- lo sai anche tu il perché, rispondo io.
ma la mia collega ha ragione a dubitare, e più tardi, in qualche modo, vi spiego perché.
torniamo alla simultaneità del divenire. ho già parlato di questo, ma non ha importanza. mi piace riparlarne, tanto nel migliore dei casi sarò io la sola persona che leggerà questo post.
c'è un'indovinello/barzelletta sui carabinieri che dice che i carabinieri vanno sempre in giro in coppia perché uno sa leggere e l'altro sa scrivere. tralasciando il fascino del paradosso, c'è da dire che chi scrive necessariamente legge ciò che scrive, ma non è altrettanto evidente che chi legge scriva nell'atto di leggere.
nel frattempo ho finito di mangiare i miei spaghetti olio e peperoncino, e mi dico che potevo buttarne mezz'etto in più senza fare un soldo di danno. rimedierò -anzi, ho già rimediato- con un faux filet al sangue.
dicevo, la mia collega aveva ragione, perché fare lo stesso lavoro per tutta la vita dev'essere una noia mortale, quindi è meglio iniziare il più tardi possibile.
un'epoca è finita quando riascolti la colonna sonora e ti accorgi del vuoto in cui risuona.
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giovedì 9 settembre 2010
L'azione è importante, siamo uomini troppo distratti da cose che riguardano vite e fantasmi futuri.
La favola di adamo ed Eva è stato l'ultimo disco importante della mia vita.
Avevo 18 anni.
Che cosa è successo, poi?
Niente, appunto.
venerdì 27 agosto 2010
L'atto II nell'epoca dell'irriproducibilità
negli ultimi giorni riaffiorano alla mia coscienza ricordi che non ricordavo.
ciascuno di essi si sostituisce al precendente, rigettandolo nuovamente nell'oblio, forse -chissà- per sempre. cosicché ora ho ben presente l'ultimo dei ricordi affiorati, e so che è andato a sostituirne uno che non ricordo già più. se il concetto non fosse chiaro.
chi mi conosce sa che non parlerò di eventi, ma di scatole vuote, anche stasera. basti sapere che quei ricordi vengono a ricordarmi cose che sono stato e che, in certi casi, non ho più voglia di essere. motivo di più per non svelarne a terzi il contentuto, che pure non è, o almeno non sarebbe, da censurare.
una collega di lavoro più anziana di me, oggi mi ha detto: questa è l'età.
riferendosi alla mia, di età.
non so se sia questa l'età, e se anche l'età fosse questa, la domanda è: l'età per cosa?
ma quella domanda alla mia collega non l'ho fatta, la risposta sarebbe stata ridondante, avrebbe creato un imbarazzo, avrebbe svuotato la conversazione, perché il bello era proprio lì, in quel non detto.
io, da parte mia, sempre oggi -significativamente non ricordo se prima o dopo- ho detto ad un'altra collega, mia coetanea, che sarebbe bello avere vent'anni. anzi: ho detto solo: eh, avere vent'anni.
ma so perfettamente che non è vero. quando penso a quanto sarebbe bello avere vent'anni, mi immagino la mostruosa combinazione dei miei vent'anni con la testa che ho adesso. il vantaggio di avere vent'anni con una testa da trentenne è persino ovvio: l'età legittimerebbe istanze, possibilità e diritti che la solidità e la concretezza di un cervello più maturo saprebbero trasformare in realtà ed effetti. forse.
comunque, risolvere il problema fingendosi anagraficamente più giovani significherebbe togliersi la sete col prosciutto.
ovvero staremmo tentando di debellare un bug identitario installando un altro bug identitario. e poi, per fare le cose come si deve, bisognerebbe falsificare il documento.
cambiando discorso, senza cambiarlo per davvero, tra ieri e oggi mi si è chiarita un'idea. anche grazie alle parole di un amico.
buonanotte ai suonatori.
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