martedì 21 luglio 2009

Est eSt esT


prima che la sera tardi, prima che la notte fonda, bisognerà che il lettore medio capisca il congiuntivo.
mi hanno fatto notare che abito in un paese tranquillo, Lilas. un paese dell'est, quel tanto che basta lontano dal brusio; la mia stanza è oramai una spaziosissima soffitta e accoglientissima. è davvero un posto da scrittori, questo. un posto non da cani, non da topi, né da zanzare. un posto da leopardi, forse. con l'unzione postuma di un ottimismo erasmico, ma senza tutto quel rincoglionimento tardadolescenziale, grazie al cielo.
è un posto, allora, che fa per me, io che non sono iscritto agli scrittori e mai lo sarò, ma che ho deciso, una volta tanto, di ardire allo statuto d'artista, come tutti gli artisti fanno da che mondo è sfondo.
te lo fai scrivere sul documento, ed ecco fatto, lo sei. come me, che settimane fa -poche- all'impiegata della posta dissi: musicista. e quella lì sulla mia scheda ha scritto musicista, senza fiatare o distogliere mai lo sguardo dalla sozzura che la punta della biro sua andava lasciandosi dietro -sul foglio pocoanzi non dico bianco ma insomma quasi- in quel dissennato, sciagurato sfregamento: tant'è che per le poste francesi, se glielo chiedi, quel tale di nome beluga higuerra in Arte transfuga è nientepopodimenoché un musicista.
un musicista assurdamente privato di ogni strumento, ivi compresa quella fantasia burda e merlettosa di cui un tempo le sue meningi furono dolorosamente gonfie, come due coglioni.
insomma mi han fatto notare che c'è tutto quel che serve, nella casa e nel quartiere. e nella limitrofa città, vabbè, grazie al cazzo. e io da me ci avevo fatto caso, per carità; ma certo: se qualcuno mi è d'accordo allora tutto assume una credibilità francamente diversa.
mi hanno fatto notare che non c'è da chiedersi o da voltarsi, che non c'è da piangere o da capire un bel niente.
non ho chissà quanto tempo per certe riflessioni aride; ho più tempo, molto più tempo per qualche affondo di spensieratezza.

giovedì 16 luglio 2009

Scale


la voce di martin oltremura suona una specie di messa, tutta di una nota, di quelle solo parlate, che ti verrebbe da saltar fuori dalla stanza per dire, di tanto in tanto: ora pro nobis.
non fosse che poi gli scappa da ridere, ma sempre così, un po' di legno, come se nell'atto di farlo chiedesse anche un po' il permesso.
c'è da chiedersi che mai ci faccia marketa nel suo letto, marketa!, che è una ragazza simpatica, metà greca, con gli occhi stretti un po' spennellati verso le orecchie. parte domani. è sua ospite. ecco che ci fa nel suo letto.
e poi tutto sommato è simpatico anche lui, martin, anche se parla una sola lingua, ed è una di quelle lingue che io non conosco. e non è il greco, ma è bensì la lingua dell'altra metà di marketa.
io e martin siamo gli abitatori di una piramide, di una specie di giza, di casa storta, o di pisa. davide è partito in bicicletta, lontano, e io ho deciso di occupare la sua stanza, che è il doppio della mia, e non è solo un fatto di dimensioni. domani intenterò questo trasloco interno.
è come se me lo aspettassi, a giudicare dalla mia stanza attuale: mi aspettavo di dover andare a stare altrove, un piano più in su. lo si capisce dal fatto che la stanza attuale l'ho mantenuta vuota e silenziosa, in queste due settimane e mezzo. vado a stare in quella che fu di davide, partito in bicicletta, che è il doppio della mia, davide che faceva il cameriere ed è andato via, e sta un piano più in su, la camera, in questa casa grande, e che non tornerà, in questa casa a un passo dalla Piovra eppure quasi quasi spersa in mezzo ad una campagna tramontesca, che ci si sente il canto de' picchi, quasi un cartone animato, con certi soli che dire arancio è poco e dire limone è troppo.
sempre così, è, il tempo: sempre diverso, sempre marzo, ottobre. un istante sferza il cristallo di qualche brezza, con una nube, una luce seria, oggettiva; l'istante appresso ecco un pugno di caldo, un bassoventre sudato, e non è chiaro da dove venga l'abbaglio. il silenzio e subito il fragore della tempesta, un climeggiare che ahimé ricorda tanto l'andamento di una vita, qui a Sparigi. variabile.
mai e poi mai si sa come vestirsi o come spogliarsi.
ma male non si sta mai. si sta bene.
nell'intanto io mi lascio crescere la barba, che non se ne importa nessuno, né sulla metro né al lavoro, né quando prendo un panino né quando vado in banca. nessuno.
il lavoro in biblioteca è presto per dirlo, ma ha tutta l'aria d'essere leggero, calmo.
l'altro lavoro è meno spensierato e peggio pagato. ma insieme si assortiscono bene, e in soldoni lavoro poco e guadagno tra l'abbastanza e il molto. e non mi sveglio mai presto.
fine primo tempo.