venerdì 30 luglio 2010

dice che sei zen

dev'essere partito. Nico, dico.
non lo vedo più da giorni. in effetti aveva detto che sarebbe partito verso la fine del mese. ci siamo.
il mio coinquilino è partito e io non mi sono accorto di niente. è andato via senza salutare, tutt'affatto. non devo essergli restato granché nel cuore, io, come persona. c'è di che riflettere, e magari anche lui lo farà, da parte sua.
sarà partito nel silenzio. avrà vuotato la sua stanza coi tappi di gomma infilati nelle orecchie, nell'aria salata del mattino. io non c'ero, ero a Roma, probabilmente.
a Roma, a dormire per l'ultima volta nella stanza rossa, nella casa gialla. la casa e la stanza di dieci anni di vita, tondi tondi. la volta scorsa, la penultima notte, qualche mese fa, fu più triste.
ora il contesto è già disanimato, quelle mura non fanno breccia.

il viaggio mi ha tenuto distante dal disordine della stanza di Sparigi. bisogna che faccia qualcosa per arginarlo. l'ho detto, la stanza è uno specchio fedele della testa di chi la abita, è persino ovvio.
nelle mie stanze non ci sono mai quadri o poster che abbia appeso io. non ci sono mai tantissimi libri in vista. ci sono sempre strumenti musicali sparsi qua e là.
c'è sempre un qualche oggetto scomodo, un letto che scricchiola, un angolo di muro scrostato.
la confezione di un qualcosa da mangiare, o una tazza ormai vuota.
una lampadina che non funziona, o che diffonde una luce troppo cruda.

vado a far smussare le chiavi dal fabbro.

mercoledì 7 luglio 2010

wip


nel vivo della notte, che lo si voglia o no, la gravità delle ore e degli anni si fa sentire un po' più cinicamente del solito, e là non bisogna cascare nella trappola, non bisogna mettersi a cercare una soluzione o a tirare una conclusione. una volta che si è imparato questo, la vita intera si fa un tantino più semplice.
ma una cosa è certa: se è di notte che si può scrivere, ed è di giorno che perlopiù si può lavorare; e se è scrivendo che si pensa ed è lavorando che si smette in qualche modo di pensare, allora è quasi inevitabile che i pensieri sul tempo e sullo spazio -i miei, almeno- siano abitualmente un po' macchinosi e spiroidi.

di qui, l'urgenza di trovare un lavoro diurno fatto di pensieri e una quantità di occupazioni serali e notturne votate al depensamento.

l'affare è complicatissimo, perché per lavorare coi pensieri ci vuole coraggio, e per depensare nel tempo libero ce ne vuole anche di più. e poi è complicato anche perché il lavoro è una tenaglia, è una droga prepotentemente additiva. ma qui bisogna fare attenzione, perché in realtà l'aspetto inquietante non risiede tanto nel lavoro in sé, quanto nella necessità di guadagnarsi o comunque ottenere in qualche maniera i mezzi necessari a sopravvivere.

inoltre, per poter lavorare coi pensieri, oltre al coraggio ci vuole la certezza della sopravvivenza. la chiave -che tecnicamente non so quale sia- va innestata lì, in uno stoico punto di equilibrio tra certezza e coraggio; e mica è facile, perché la certezza svigorisce silenziosamente il coraggio, che logicamente è legato a doppio filo con l'incertezza.

del resto l'incertezza può anche scoraggiare, ma questo è decisamente un altro paio di maniche, che val bene non indossare, almeno per il momento.

forse l'errore da evitare è porsi da sé in una condizione di incertezza per alimentare il proprio coraggio. ed è un errore perché l'incertezza vige sempre e comunque, che la si voglia o no.

il primo passo verso la soluzione del dilemma coincide con l'impegno a rispondere alla seguente domanda:
sono certo del mio coraggio?

nessuno vi ha chiesto di arrivare fin qui.

venerdì 2 luglio 2010

Sei personaggi in cerca di aurore



La natura mi ha svegliato alle 9.
Giorni fa una collega mi diceva proprio questo, mi diceva che non sopporta che sia una sveglia a svegliarla, e che vorrebbe potersi svegliare sempre e soltanto quand'è il corpo che glielo chiede.
Sono sceso al piano di sotto e mi sono affacciato in terrazza, c'era un sole talmente netto che ho pensato subito a Martin, quello con la voce de uma nota so, a Martin e alla prima volta che ci siamo incontrati, proprio su quella terrazza. Di lì, compreso Martin e i miei due coinquilini attuali che a breve se ne andranno, sono stati 6 i personaggi che hanno popolato la Magione dei Lillà in questi dodici mesi. Sei personaggi in cerca di qualcosa in questa città ma tutti e sei, guarda caso, risucchiati presto o tardi da altre vite, altre urgenze, altre nostalgie, altre velleità.
Da ieri, è un anno che vivo in questa casa storta. Stamattina mi sono svegliato alle 9, mi ha svegliato la natura, ma senza rumore, così, in modo, diciamo, naturale.
Mi sono affacciato giù in terrazza e il sole era netto. Spunta Samuel, che non rientra nella conta dei coinquilini, è una specie di guest star, spunta Samuel e mi dice che ho l'air soucieux, che ho l'aria preoccupata; gli dico che devo solo andare al gabinetto, gli indico con la mano la porta del mio, che è occupato da Nico, Samuel mi invita a seguirlo al piano di sotto, a pisciare nel suo bagno, lo seguo, piscio e torno indietro, con un sorriso soddisfatto stampato in faccia e una mano levata genre giovannipaolosecondo, mentre lui vedendomi sfilare mi fa una risata delle sue, breve, abissale.
I personaggi, quelli principali e le guest star, appaiono e scompaiono oltre i bordi (stipiti, mura, scale, porte) delle inquadrature di questa casa in modi e tempi che spesso fanno pensare ad una sitcom, di cui io, tanto per tornare all'abusato tema Truman Show, io -dicevo- sono l'ignaro eppure divertito protagonista. Lascio Samuel su un piano, ritrovo Nico sull'altro, che riemerge dal bagno portandosene dietro i vapori, fa la sua battuta spesso secca, di un umorismo un po' aspro, esotico, manda giù un succo d'arancia, si rinsenrra di colpo nel suo studio, e allora spunta fuori Joanna, mi fa un gesto primordiale con la mano farfugliando una frase in franco-polacco, scoppio a ridere, lei fingendosi offesa svanisce dietro la porta del bagno.
Ignaro un paio di ciufoli, perché invece a volte le geometrie degli eventi sono talmente ben oleate da farti dire: è vero, è tutto vero, è una storia già scritta, ma faccio finta di non crederci: e l'oggetto della miscredenza non è la storia ma la matrice medesima della finzione.
Un anno in questa casa, e pare ieri, pare ieri davvero, facevamo una cena per inaugurare il mio nuovo indirizzo, col tramonto che sa stare a tavola composto insieme a noi, e che verso il dessert (che non mangiammo) dà il meglio di sé. Qualcuno, tra gli invitati, aveva la faccia di chi sarebbe andato via presto, e a giudicare dalle foto si direbbe che lo sapeva.

Andare via: che male c'è? Presto, tardi, appena in tempo o facendo le cose con calma. Però io resto qua, voglio godermi lo spettacolo banale di nuove sitcom e nuovi tramonti, con tanto di risate preregistrate tra una battuta e l'altra. E quando, una sera, di tramonti ne avrò avuti abbastanza, allora, come gli altri sei personaggi, mi lascerò la Magione alle spalle, e andrò in cerca di aurore.